venerdì 27 marzo 2015

Pasqua al Santuario



“li amò fino alla fine"

 
 
GIOVEDI’ 2 aprile
santo             6.00 Ufficio delle letture
                            7.30 Lodi
                         20.30 Eucaristia nella Cena del Signore.
                                     Segue breve adorazione eucaristica nel silenzio.


VENERDI’ 3 aprile
santo             6.00 Ufficio di letture
                            7.30 Lodi
                          12.00 Ora media
                         20.30 Celebrazione della Passione del Signore



SABATO 4 aprile
santo             6.00 Ufficio delle letture
                     7.30 Lodi
                   12.00 Ora media
                  21.00 Veglia Pasquale

DOMENICA 5 aprile - PASQUA di risurrezione
                                   7.30 Lodi     
                           10.30 Celebrazione Eucaristica
                            18.00 Celebrazione dei Vespri.


Domenica delle Palme e di Passione



Riportiamo una riflessione di E.Ronchi tratta dal quotidiano "Avvenire".
In questa settimana santa, il ritmo dell'anno liturgico rallenta: sono i giorni del nostro destino e sembrano venirci incontro piano, ad uno ad uno, ognuno generoso di segni, di simboli, di luce. La cosa più bella che possiamo fare è sostare accanto alla santità delle lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli. E deporre sull'altare di questa liturgia qualcosa di nostro: condivisione, conforto, consolazione, una lacrima. E l'infinita passione per l'esistente.
«Salva te stesso, scendi dalla croce, allora crederemo». Qualsiasi uomo, qualsiasi re, potendolo, scenderebbe dalla croce. Gesù, no.
Solo un Dio non scende dal legno, solo il nostro Dio. Perché il Dio di Gesù è differente: è il Dio che entra nella tragedia umana, entra nella morte perché là è risucchiato ogni suo figlio.
Sale sulla croce per essere con me e come me, perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. Perché l'amore conosce molti doveri, ma il primo di questi è di essere con l'amato, unito, stretto, incollato a lui, per poi trascinarlo fuori con sé nel mattino di Pasqua.
Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio. La croce è l'abisso dove Dio diviene l'amante. Dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa.
L'ha capito per primo un estraneo, un soldato esperto di morte, un centurione pagano che formula il primo credo cristiano: costui era figlio di Dio. Che cosa ha visto in quella morte da restarne conquistato? Non ci sono miracoli, non si intravvedono risurrezioni. L'uomo di guerra ha visto il capovolgimento del mondo, di un mondo dove la vittoria è sempre stata del più forte, del più armato, del più spietato. Ha visto il supremo potere di Dio, del suo disarmato amore; che è quello di dare la vita anche a chi dà la morte; il potere di servire non di asservire; di vincere la violenza, ma prendendola su di sé.
Ha visto sulla collina che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, un altro modo di essere uomini.
Come quell'uomo esperto di morte, anche noi, disorientati e affascinati, sentiamo che nella Croce c'è attrazione, e seduzione e bellezza e vita. La suprema bellezza della storia è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia inchiodare, povero e nudo, per morire d'amore.
La nostra fede poggia sulla cosa più bella del mondo: un atto d'amore. Bello è chi ama, bellissimo chi ama fino all'estremo. La mia fede poggia su di un atto d'amore perfetto.
E Pasqua mi assicura che un amore così non può andare deluso.

(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47).

sabato 21 marzo 2015

Quinta domenica di quaresima



E’ iniziata la primavera e davanti a noi si apre lo spettacolo di una natura che rinasce. Alberi che si colorano di vita; fiori che sembrano spuntare dal nulla. La dove tutto era secco, scheletrico, arido, ecco ora affiorare una vita nuova.
Uno spettacolo che ci affascina per la sua bellezza, ma che ci deve anche far pensare. Da dove viene tutto questo splendore, questi colori e profumi, questi fiori che diverranno poi frutti?
Se ci fermiamo a riflettere e non diamo tutto per scontato, arriviamo a percepire che tutto è partito da un seme morto, da una linfa nascosta dentro apparenti segnali di impotenza: rami secchi e vuoti.
Oggi la natura ci aiuta a comprendere la Parola ascoltata.
Anzi, Gesù stesso utilizza questo richiamo alla legge della natura (il seme che muore per portare molto frutto) per farci comprendere meglio la legge della vita: “Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”.
Un linguaggio certo forte, ma che sta a indicare che la vita si fa bella e ricca di ogni buon frutto solo se si ha il coraggio di non chiudersi su se stessi, di pensare solo a se stessi (in questo senso “chi ama la propria vita” indica un atteggiamento negativo di chiusura egoistica su se stesso), per trovare la capacità di fare della propria vita un dono (in questo senso “chi odia la propria vita” sta a indicare non il disprezzo per se stessi, ma il coraggio di spendere la vita per amore, fino al dono totale di sé).
Appunto come il seme. Appunto come Gesù.
Questa è la legge della natura e della vita: solo dalla morte, dal dono di sé, può fiorire qualcosa di nuovo e di bello.
Una legge che ci aiuta anche a mettere a fuoco meglio la realtà stessa della morte: non è affatto un finire, ma un consumarsi per far nascere…: il fiore, il frutto che verranno sono ancora il seme che, marcito e consumato, si è trasformato in nuova vita.
E’ una legge questa scritta da sempre dentro i nostri cuori, come già ricordava il profeta Geremia nella prima lettura: “porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore”. Legge di un’alleanza antica e sempre nuova che ci parla di una presenza di vita dentro di noi più forte della apparente assurda legge delle morte. Una legge che è posta in noi da Dio stesso. Il suo Soffio, lo Spirito che ci abita, è la linfa vitale che sa trasformare ossa aride in nuova vita.
E’ questa legge del cuore che guida dunque Gesù fino al dono di sé sulla croce. E’ la legge dell’amore. Di un amore non certo effimero e superficiale. Un amare che è ‘voce del verbo dare’: un donarsi fino al dolore e alla sofferenza di una vita che si offre per l’altro, con la certezza che solo da qui può nascere e fruttificare novità.
La croce quindi, verso cui Gesù orienta la sua vita, ci svela, in modo misterioso, questo amore che ha la forza di attirare tutti a sé. “’Quando innalzato da terra attirerò tutti a me’. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire”.
Così chi vuol vedere Gesù, come quegli stranieri che sono alla sua ricerca, come ciascuno di noi, chi vuole seguirlo, non trova altra risposta che nel guardare alla croce. Lì Lui si fa vedere. Lì Lui ci indica la via da seguire. L’amore di Dio sulla croce è infatti l’unico linguaggio universale che tutti possono comprendere.
E “se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io (sulla croce), là sarà anche il mio servitore”. Un seguire fino alla fine, ma pur sempre sapendo che la legge del cuore, dell’amore che si dona porterà solo a vita piena: “Se uno serve me, il Padre lo onorerà”. Più l’uomo si dona e più la presenza del Padre si manifesta in  Lui.
Per conoscere e seguire Gesù dunque non resta altra strada che accettare la legge dell’amore che si dona: il coraggio del morire a noi stessi, al nostro io egoista, per far nascere frutti abbondanti di bene per la vita di tutti, per far nascere quell’uomo e quella donna nuovi, ricreati a immagine del Figlio, pure loro figli amati del Padre.
 “Cristo, nei giorni della sua vita terrena… imparò” questa legge “da ciò che patì” e così “divenne causa di salvezza eterna per tutti”, ricorda la lettera agli Ebrei.
Ora tocca anche a noi imparare, dentro le prove e le fatiche della vita, quale sia la vera legge che porta alla salvezza, alla realizzazione, al “produrre molto frutto”.
Oggi si crede che è vincente la legge economica dell’accumulo, dell’avere, del sistemarsi, del realizzare se stessi anche a scapito di altri. Ma di fatto ci accorgiamo come questa legge porta alla morte delle relazioni, al rimanere soli, al fallimento di intere società.
Se crediamo in Gesù siamo chiamati a puntare tutto non sulla legge economica di accumulo, non sulla legge protettiva del proprio io (penso a me, mi preoccupo di star bene io, ho a cuore la mia felicità, io sono nel giusto, sono gli altri che devono cambiare, non spetta a me essere diverso…). No.
Il cristiano, come Gesù, non vive in atteggiamento protezionistico, ma secondo la legge economica della solidarietà, la legge espansiva dell’amore-dono. Che inizia nel nostro cuore, ci invita a uscire dal nostro io, a cambiare noi stessi, a incominciare da noi imparando a fare di noi e della nostra vita una rinnovata capacità di amare, cioè di dare, di patire per… nella consapevolezza che da questo marcire a noi stessi, da questo perderci per far spazio agli altri, a Dio, non potrà che fiorire novità, non potranno che generarsi abbondanti frutti di vita. “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.

sabato 14 marzo 2015

Quarta domenica di quaresima



C’è, nelle letture di oggi, un messaggio che ci deve far sussultare di gioia. C’è l’annuncio di un amore fedele e ostinato che va oltre tutte le nostre infedeltà. Questo amore è l’amore di Dio. Anzi è Dio stesso. Quel Dio che si rivela a noi in Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo”. Un amore che ci svela la sua identità e che caratterizza il suo agire da sempre: “il Signore aveva compassione del suo popolo” ricorda il libro delle Cronache nella prima lettura. Veramente: “immersi in un mare di amore, non ce ne rendiamo conto”. (Vannucci)
Forse anche perché questo annuncio di gioia contrasta fortemente con la realtà nostra. Una realtà segnata da ciò che è opposto all’amore: se l’amore è luce, noi siamo nelle tenebre; se l’amore è verità, noi siamo nella menzogna e nell’illusione. Questa la realtà sociale e personale di cui facciamo esperienza.
Tutti siamo dentro in questo buio, in questa vita piena di assurdità e di male, in questa esistenza segnata da errori, debolezze, paure. Tutti. Lo ricorda bene la prima lettura: “Tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo, moltiplicarono le loro infedeltà”.
Questa situazione fallimentare si pone in pieno contrasto con quell’amore di Dio annunciato. Se Dio è amore, perché tutto ciò? Perché questo amore permette il dilagare del male? Perché?
Sono domande che ci bruciano dentro. Sono domande più grandi di noi e non abbiamo risposte. O meglio: una risposta c’è; più che una risposta (cioè una soluzione al problema) si tratta di una consapevolezza che ci deve accompagnare.
Questa consapevolezza è proprio l’amore di Dio. “Dio ha tanto amato il mondo”; lo ha amato da sempre. Lo ama ora, oggi, così com’è. Non lo giudica: “non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma per salvarlo”. E salva usando ciò che è causa di rovina. Lo salva con un amore che si abbassa al nostro fianco e dentro la nostra debolezza e fragilità, assumendola in sé e, proprio in forza del suo amore misericordioso e fedele, superandola, aprendo ogni nostra situazione di peccato, di male, a possibilità di nuovo inizio.
Così fu per l’antico popolo d’Israele che dall’esilio viene risollevato grazie all’intervento amoroso e imprevedibile di Dio, che attraverso un pagano e straniero, Ciro, opera per riportare il popolo alla libertà. Così Dio continua oggi ad operare in mezzo a noi. Non a colpi di bacchetta magica per annullare i problemi, per cancellare le cose che non vanno, ma a colpi di amore rinnovato, di presenza nascosta e imprevedibile che ci accompagna sempre, quando meno ce lo aspettiamo, per risollevarci a portarci a libertà, a novità di vita. Lui parte da lì, si fa vicino proprio lì dove c’è fallimento, infedeltà, e non per giudicare ma per amare, per riportare alla luce, alla verità.
Qui sta la grandezza e la bellezza del suo amore. Un amore che non è parola vuota, ma presenza, dono, vita condivisa in Gesù uomo  come noi, che assume la nostra non facile esistenza.
Gesù è stato mandato dal Padre perché l’uomo si salvi dal suo inganno, non tema più i propri errori, risorga più sapiente e rispettoso della verità. Gesù è mandato nel mondo perché chiunque cerca, ama, persegue, rispetta, ascolta, vive la verità abbia la vita senza fine. Venuto per riportare ogni uomo alla luce e renderlo di nuovo capace di fare la verità. Espressione curiosa: la verità non è una bella idea da avere, ma un’opera da compiere perché “chi fa la verità (non chi conosce) viene verso la luce”. La verità è il bene stesso che si rivela a noi nella Parola e nella vita di Gesù. Un bene da accogliere e da realizzare. Questo siamo chiamati a compiere.
Questo è l’unico giudizio che ci attende: “la luce è venuta nel mondo”, essa ci ha fatto conoscere ciò che è vero. Si tratta di scegliere: “gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce”.
Se invece abbiamo il coraggio di innalzare lo sguardo verso colui che nel suo amore per noi è stato innalzato sulla croce, ecco allora che “chiunque crede in Lui ha la vita eterna”.
“Come Mosè innalzò (su un palo) il serpente nel deserto, (e chi lo guardava veniva guarito) così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”. L’amore di Dio si abbassa fino alla nostra crudeltà e cattiveria, fino al nostro rifiuto, per innalzarci con Lui alla vita, verso la salvezza. Nel Figlio, abbassato e innalzato sul palo della croce è tutto l’amore di Dio. In Lui anche noi, lasciandoci prendere per mano, possiamo essere risollevati dal male che oscura il cammino e innalzati allo splendore della verità e del bene.
Lasciandoci prendere per mano e amare da Lui: perché –come ci ha ricordato Paolo– “per grazia siete stati salvati…ciò non viene da voi, ma è dono di Dio”. Noi infatti non siamo cristiani perché amiamo Dio o facciamo qualcosa per Lui. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama. Tanto da dare suo Figlio. E ci lasciamo amare così da essere in Lui figli amati.
In Lui allora ci impegniamo non per salvare il mondo, l’ha già salvato Lui, ma per amarlo; ci impegniamo non per convertire le persone, ma per amarle. Come ne siamo capaci.
E questo perché così fa Dio verso ciascuno di noi.