giovedì 24 dicembre 2015

Notte di silenzio.


Chiudiamo la porta dietro di noi! Ascoltiamo con l'orecchio teso l'ineffabile melodia che risuona nel silenzio di questa notte. L'anima silenziosa e solitaria canta qui al Dio del cuore il suo canto più soave e affettuoso. E può avere fiducia che egli l'ascolta. Infatti, questo canto non deve più cercare il Dio amato al di là delle stelle, in una luce inaccessibile, che egli abita, tanto che nessuno per questo lo vede.
Poiché è natale, poiché la Parola s'è fatta carne, Dio è vicino, e la dolcissima parola, la parola dell'amore, trova il suo orecchio e il suo cuore nella stanza più silenziosa del cuore. E chi s'è fermato presso di sé, anche se è notte, in questa quiete notturna, nelle profondità del cuore di Dio, percepisce la dolce parola dell'amore.
Occorre essere tranquilli, non temere la notte, bisogna tacere. Altrimenti non si sente nulla.
Infatti, l'ultima cosa vien detta solamente nel silenzio della notte, da quando, per l'arrivo pieno di grazia della Parola nella notte della nostra vita, s'è fatto natale, notte santa, notte di silenzio.

( K . RAHNER, Dio si è fatto uomo, Brescia).


sabato 19 dicembre 2015

Quarta domenica di Avvento



A pochi giorni dal Natale di Gesù, la Parola di Dio ci chiama allo stupore, alla meraviglia. Colui che contiene in sé l’universo intero e che è creatore di ogni cosa, energia che a tutto da vita, ha deciso di venire in mezzo a noi. Questo è a dir poco grandioso.
Ma la cosa ancor più impensabile è che per venire in mezzo a noi non sceglie ciò che è sublime, grande, perfetto, pur nei limiti dell’umano; no. Sceglie ciò che è piccolo, povero, chi non si impone, chi non conta. “E tu Betlemme, così piccola… da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore”. Due donne: Maria, Elisabetta. Sconosciute. Una ancora vergine, l’altra sterile e anziana. Qui, il Dio infinito sceglie di manifestarsi.
Ma questa manifestazione si fa ancor più sorprendente.
Infatti poteva manifestarsi in loro con segni particolarmente prodigiosi o anche solo in modo puramente spirituale: un messaggio, una rivelazione… No. La scelta è quella del corpo.
E’ l’immagine che torna in tutte le letture. “Partorirà colei che deve partorire” dice il profeta. Nel vangelo è un canto di grembi che danzano, di bambini che sussultano di gioia, di donne incinte. E infine la lettera agli Ebrei afferma: “un corpo mi hai preparato… ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”.
Ecco compiersi l’inaudito: il Dio dell’universo sceglie come luogo, spazio per la sua presenza tra noi un corpo, il corpo.
La salvezza ci raggiunge “nel corpo” prima che nell’anima. Il corpo è il luogo dell’adempimento della volontà di Dio: “un corpo mi hai preparato… ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”.
E questa volontà non è altro che il vivere fino in fondo il nostro corpo, la nostra umanità, perché la salvezza si gioca e si compie nella relazione con l’altro, nell’incontro. Questa la via scelta da Dio e rivelata a noi attraverso Maria nel suo incontrarsi con Elisabetta.
Maria accoglie nel suo corpo vergine il Dio che si fa carne e si sente spinta a mettersi in viaggio per portare ad altri questa presenza inspiegabile. “Si alzò e andò in fretta”. Un corpo che si mette in movimento per andare a portare, a far toccare con mano, ad altri, che siamo abitati da Dio.
E questo avviene nell’incontro, descritto in modo delicato e splendido da Luca. Un incontro che si apre con un saluto: “salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussulto nel suo grembo”. Si scopre anche lei abitata da Dio, dalla Vita; “fu colmata di Spirito Santo”. Basta un saluto perché l’altro si senta abitato, amato da Dio. Salutare è donare salvezza.
Saluto e salvezza sono parole che si richiamano; hanno una radice comune. Il saluto di Maria diventa saluto di salvezza; una salvezza che pervade il corpo e l’anima di Elisabetta, così come prima ha pervaso il corpo e l’anima di Maria davanti al saluto dell’angelo.
Tutto ciò, per ricordarci che il Natale è la festa della concretezza e non tanto o solo dei buoni sentimenti, della poesia, o peggio festa di favole, di panettoni e regali...
La concretezza di un Dio che prende carne e fa della carne lo spazio della salvezza. Fa dell’incontro con gli altri il luogo dove si rende presente il suo amore che ci salva.
Celebrare il Natale dunque deve mettere in gioco tutto noi stessi a partire dal nostro corpo che è chiamato a diventare lo spazio concreto dove Dio continua oggi a farsi presente.
Il vero presepe siamo ciascuno di noi. Abitati da Cristo, in modo simile a Maria, per diventare portatori di Lui a chiunque incontriamo.
Perché questo avvenga è indispensabile che si crei in noi lo spazio adatto, attraverso il nostro farci e riconoscerci piccoli, bisognosi di Lui e in particolare attraverso l’ascolto della Sua Parola.
“Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”: è la prima delle beatitudini del vangelo.
Maria crede perché ascolta. E ascoltando permette alla Parola di prendere carne nel suo corpo. In lei vediamo l’immagine di ciò che ogni credente è chiamato a vivere: generare in noi Gesù attraverso l’ascolto della Parola e con la concretezza della nostra vita, con il nostro corpo, con tutto noi stessi portarlo agli altri attraverso la gioia dell’incontro, la capacità dell’accoglienza reciproca, l’abbraccio che scaturisce dal perdono, il gesto di servizio concreto che genera solidarietà e fraternità.
E perché no? attraverso anche il semplice saluto.
In questi giorni chissà quanti ‘buon Natale’ ci scambieremo. Ma che senso hanno? Facciamo diventare questi saluti, saluti di salvezza. Un augurio di benedizione, di pace, di gioia; saluto che dice: ‘possa abitare anche in te quel Dio che è la nostra gioia e la nostra vita’. Saluto che manifesta volontà di accoglienza, desiderio di fraternità, disponibilità ad aiutarci. Anche noi come Maria facciamo sentire agli altri quella vita più grande che portiamo in noi: la presenza di Gesù che non aspetta altro di trovare spazio nel nostro corpo e di poter raggiungere, attraverso la nostra vita, la vita di quanti incontriamo

lunedì 14 dicembre 2015

L'apertura della "Porta della Misericordia"



Non abbiamo suonato il corno, lo jobel, come facevano gli ebrei per dare inizio al Giubileo…. E’ risuonata invece la Parola di Dio in tutta la sua bellezza e forza; Parola che ci convocava e ci invitava alla gioia, a fare giubileo, a riconoscere che “il Signore è vicino”, “il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente… ha revocato la tua condanna, ti rinnoverà con il suo amore”. E’ l’esperienza vissuta da oltre 500 persone qui al Santuario del Soccorso: stipate nella chiesa, in ogni angolo, quasi per vivere un abbraccio che tutti ci univa gli uni agli altri, ma soprattutto per sperimentare quell’abbraccio di tenerezza che il Padre di misericordia dona sempre e a tutti in Gesù suo Figlio attraverso lo Spirito. 

Radunati prima sul piazzale, all’invito del vicario episcopale d.Attilio Mazzola, che ha presieduto la celebrazione, l’ingresso attraverso la Porta della misericordia, simbolo di Cristo che ci accoglie e abbraccia. Un ingresso vissuto in un clima di profondo silenzio che ha poi lasciato spazio alla gioia del canto che ci invitava a ripetere con le labbra e con il cuore: in aeternum misericordia eius.
Il passaggio attraverso la piccola porta e lungo la rampa per i disabili ci ha ricordato con quale atteggiamento entrare nell’anno santo: riconoscendoci tutti ‘disabili’, peccatori, bisognosi di conversione. 

L’acqua del Battesimo ci ha poi rigenerati quali figli amati, pronti all’ascolto della Parola e capaci di comunione fraterna attorno all’unica mensa.
Abbiamo così percepito tutti che l’anno santo non è un anno di prestazioni straordinarie che ci sono richieste per ottenere, lucrare e guadagnare un’indulgenza. No. E’ invece anno di grazia, occasione preziosa per entrare nell’abbraccio della Misericordia di Dio, per lasciarci fare da Lui, lasciarci abbracciare e cambiare dal suo Amore. In questo cammino siamo certi che ci accompagna la guida sicura di Maria madre della Misericordia, madre di Gesù: non mancherà per nessuno il suo Soccorso.

sabato 5 dicembre 2015

Una Parola che rovescia il mondo.



Inizia in modo solenne, grandioso, questo brano di Vangelo. Un elenco di date e di nomi. Una scena grandiosa che si restringe pian piano… Quasi come se una cinepresa riprendesse questo scenario da lontano per poi avvicinarsi sempre più: dal tutto al particolare.
In questo avvicinarsi e scendere protagonista è la Parola di Dio “la Parola di Dio venne”. E’ l’Avvento. L’attesa della venuta di Dio.
Una Parola che scende dentro la nostra storia. Ma per farsi presente non dove ci sono i potenti, le autorità politiche o religiose, bensì nel deserto, nella vita di un personaggio ai più sconosciuto: “venne su Giovanni nel deserto”.
In un contesto storico problematico, sia dal punto di vista politico che religioso, la speranza viene dal deserto dove la Parola può trovare un uomo non distratto che si lascia riempire dalla Sua potenza. Quasi a ricordarci  che anche oggi ogni possibile speranza  di rinnovamento, della società e della chiesa stessa, inizia non da strategie, documenti, proclami, ma da un uomo, da una donna che, ‘nel deserto’, nel silenzio interiore e nella povertà-semplicità di vita, si lasciano rinnovare dentro, plasmare e dare forma nuova dalla Parola di Dio.
Dio fa la storia non con i potenti, ma con i piccoli, i semplici, come Giovanni, come Maria di Nazaret.
Ci chiediamo: può Dio oggi costruire la nostra storia, questa nostra chiesa di cui siamo membra, anche attraverso di noi?
Questo è il messaggio che ci viene proposto.
Dio è colui che può rinnovare la storia degli uomini e lo vuole. Lo ricorda il profeta: “Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna…di colmare le valli livellando il terreno”. Sono immagini che parlano di liberazione, novità, rinnovamento: un nuovo esodo, una nuova vita si fa possibile con Lui.
Ma questo chiede che ci siano uomini e donne capaci di accogliere con disponibilità la Sua Parola. Una Parola che scende mentre i potenti salgono… Una Parola che si fa vicina a chi ha il cuore libero e accogliente.
“La Parola venne su Giovanni”. Potremmo rileggere mettendo il nostro nome… La Parola viene oggi su di me, su ciascuno di noi, in questa nostra comunità radunata insieme. Viene per smuovere, cambiare, rinnovare, spingere alla testimonianza.
“Venne su Giovanni… egli percorse tutta la regione… predicando”. Diventa ‘voce che grida’, vita che testimonia, per portare ogni uomo alla salvezza: “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”.
Questo è lo scopo finale per cui la Parola scende, viene tra noi e in noi, e ci rinnova e spinge affinché tutti possano toccare con mano il Dio che salva.
Oggi la nostra Diocesi celebra la giornata del Seminario: insieme preghiamo per i giovani che si sentono chiamati a diventare preti, ‘voce che grida nel deserto’, perché non manchino risposte generose; tuttavia non dimentichiamo che siamo invitati a riscoprire come questa chiamata è per tutti noi.
Ogni cristiano è uno sul quale “la Parola venne”.
E allora se uno ha il vangelo fra le mani e nel cuore e non diventa ‘voce’, tradisce la Parola, non ha capito nulla. La Parola viene in noi non per farci più belli, più bravi degli altri, ma per spingerci a viverla e annunciarla senza sosta, fino al traguardo: quando la Parola di Dio sarà tutto in tutti. Tu o sei voce o non sei cristiano.
La nostra missione è diventare voce, che annuncia alla città distratta e scettica, che Dio ci visita, è presente in Gesù nel mondo. Un Cristo che nasce per farci rinascere, per farci diventare uomini e donne nuovi.
A questo siamo chiamati. Lo ricorda anche Paolo nella seconda lettura: “prego con gioia per voi a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo”. Ma come si coopera a diffondere il vangelo? Paolo prosegue: “che la vostra carità cresca sempre più… perché possiate distinguere ciò che è meglio”. Vivendo tra noi l’amore del Cristo e in lui discernendo ciò che è il meglio.
Questo chiede ovviamente che prima ci lasciamo raggiungere, afferrare, conquistare dalla Sua Parola. Dobbiamo dare ogni giorno un po’ di tempo e un po’ di cuore alla semplice lettura del Vangelo e la Parola pian piano verrà ad abitare in noi e a inizierà a plasmare le nostre scelte, i nostri atteggiamenti, fino a renderci ‘voce che grida’, vita che annuncia la Sua Presenza con i gesti e le scelte dell’amore.
Dobbiamo per questo “preparare la via” perché la Parola possa trovare spazio in noi; questo avviene con l’abbassare e il riempire “ogni burrone sarà riempito, ogni monte e colle abbassato”. Sono i nostri vuoti interiori da riempire, è il nostro orgoglio e presunzione di poter fare a meno di Dio che va abbassato. 
Così si “raddrizzano i suoi sentieri”, così potremo diventare grembo che accoglie la Parola di verità e di vita che è Gesù, fino a diventare di questa Parola ‘voce’, fino a dare a questa Parola carne con la nostra vita. Come Giovanni, Come Maria. Allora sarà ancora Natale.