sabato 27 febbraio 2016

Una proposta per tutti...


Terza domenica di Quaresima



Il centro della Parola di Dio oggi proclamata, è il volto e il cuore stesso di Dio. E’ Gesù che li rivela a noi.
Ma già Mosè e il popolo d’Israele avevano fatto esperienza di questo; sul monte Dio è roveto ardente che non si consuma, simbolo di un amore che non viene meno; è attento al grido del suo popolo: “Ho osservato la miseria del mio popolo… ho udito il suo grido… conosco le sue sofferenze… sono sceso per liberarlo… per farlo salire verso una terra bella e spaziosa”.
Ecco il rivelarsi del cuore di Dio: un Dio che si prende cura di noi, che ci porta nel cuore, che non ci lascia mai soli.
Gesù lo ribadisce attraverso la semplice ma significativa parabola della pianta di fico. Dio paziente, che non si stanca, come buon contadino, di chinarsi su di noi, di aver fiducia in noi e quindi continua a zapparci attorno, a metterci il concime della sua Parola finché arriviamo a portare frutti nuovi e buoni.
Pensiamo da quanto tempo Lui si prende cura di noi; non due o tre anni, ma da una vita! Da sempre! Ha pazienza, ci usa misericordia sebbene i frutti fanno fatica a maturare.
E’ importante fermarci a riflettere su questo. Solo la consapevolezza di essere così amati, custoditi, curati, può diventare – deve diventare – la molla, la spinta interiore per cambiare, per portare i frutti attesi….
Non deve essere la paura di Dio, il suo castigo, il suo giudizio ciò che fa scattare in noi un cambiamento.. anche se a volte questo può essere stimolo iniziale. Gesù stesso, commentando fatti di cronaca nera (l’uccisione dei Galilei e il crollo della torre) ricorda come ciò non è volontà di Dio, e nemmeno castigo a causa del nostro peccato. Infatti “Egli non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez.33,11); “il Signore ha pietà del suo popolo” (salmo 102).
Quello che accade attorno a noi – ieri come oggi – è piuttosto, segno di un mistero di male che ci circonda; ma anche motivo di riflessione, di rinnovato impegno perché abbiamo a lottare contro il male, per diventare insieme più responsabili nelle nostre scelte.
L’amore di Dio per noi, in primo luogo, e anche i fatti della vita, quello che avviene attorno a noi, in positivo e in negativo, tutto deve essere occasione, stimolo a una vita diversa, a un cambiamento: “se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. E non certo perché Dio ci punisce, ma perché il nostro non portare frutti buoni rende sterile la vita nostra e dell’umanità e la condanna al deserto, al male, che scaturisce non dalla mano di Dio, ma dalle nostre mani, dalle nostre menti, dai nostri cuori.
“Convertitevi” dunque: significa cambiate mente, cambiate cuore.
E’ invito pressante, che nasce dal cuore paziente e buono di Dio che, vedendo le nostre opere, non trovando in esse frutti buoni, non può che, nel suo amore, sollecitare tutti noi a un cambiamento: “convertitevi”.
La conversione tuttavia non può limitarsi al fatto di “fare” alcune buone pratiche: ‘io vado in chiesa, io prego, io faccio qualche opera buona…’ Non basta. Lo ricorda Paolo nella seconda lettura: “non voglio che ignoriate che i nostri padri tutti furono sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè… tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale… ma la maggior parte di loro non fu gradita… furono sterminati nel deserto. Ciò avvenne come esempio per noi”.
Cosa mancava? Gesti esteriori, ma il cuore e la mente lontani da Dio, chiusi ancora su se stessi: “mormorarono” dice Paolo, cioè non si fidarono di Dio. Conclude quindi Paolo: “Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”.
Non sentiamoci dunque ‘a posto’ solo perché siamo battezzati o andiamo in chiesa o diciamo di credere… Preoccupiamoci piuttosto di far sì che la nostra mente e il nostro cuore siano veramente e pienamente orientati a Dio, accogliendo la sua Parola, fidandoci di essa e lasciandoci coltivare e custodire da essa, così da saper portare frutti buoni per il bene non solo nostro, ma della comunità, della chiesa, dell’umanità intera.
Estirpiamo con coraggio tutto ciò che è male: corruzione, invidia, violenza, ogni forma di cattiveria e di disprezzo verso persone e cose. Mettiamoci finalmente a produrre frutti buoni: frutti che maturano all’ombra dell’amore di Dio e della sua misericordia, unica vera spinta interiore per generare novità di vita.
“Lascialo ancora quest’anno”: così ricorda il vangelo.
La pazienza di Dio è pur sempre una pazienza che ha una scadenza. Un anno. Ancora un tempo favorevole. Può essere questa Quaresima. Può essere questo ‘anno della misericordia’ l’occasione propizia per un cambio di mente e di cuore. Può essere anche solo oggi, perché nessuno di noi può sapere e conoscere il tempo che gli è concesso. Non continuiamo a rimandare. Non aspettiamo giorni migliori. Iniziamo subito a mettere mano alla nostra vita. 
Lui, il Padre-contadino continua a concimare, seminare, zappare questo nostro arido terreno. Non si stanca di credere in noi. Oggi e sempre.

sabato 20 febbraio 2016

Seconda domenica di quaresima.



C’è una parola che riassume il messaggio delle letture odierne: sguardo. Tutto consiste in una questione di sguardo: perché dove l’occhio guarda, lì il cuore si orienta.
A cosa, dove guardiamo? Nel cammino quotidiano del nostro vivere dove va il nostro sguardo? Sicuramente si dirige a volti, persone, situazioni che fanno parte del nostro quotidiano; cerca di volgersi a guardare ciò che è bello, buono, vero. Ma non sempre è così. A volte il nostro sguardo si lascia accecare dalla brama delle cose, dall’invidia, dall’esasperata ricerca del piacere. La nostra vita viene così oscurata e annebbiata da falsi valori.
Purtroppo ci accorgiamo che altre volte il nostro sguardo si perde nel vuoto. Si perde in quel buio che è l’incertezza del vivere: le fatiche che incontriamo, le delusioni e gli scoraggiamenti, il nostro stesso peccato. Nel buio di una fede che vacilla perché Dio ci sembra lontano e insensibile quando viene la notte del dolore, della sofferenza, della croce.
E così ci sentiamo o come assopiti da un lungo sonno - il torpore di una vita spenta, fiacca -, o presi da uno strano terrore: la paura di vivere, di affrontare la vita, proprio perché il nostro sguardo si è perso nel buio, nella notte.
Quanto descritto non è altro che l’esperienza fatta da Abramo (1 lettura), dalle prime comunità cristiane (2 lettura), dai discepoli (Vangelo).
Abramo, davanti all’attesa di una promessa che non si compie prova sconforto e “un oscuro terrore lo assale”. Ma proprio quando si fa buio, ecco il passaggio luminoso di Dio che viene a confortarlo e a confermarlo nella promessa fatta rinnovando la sua alleanza con lui. E Abramo è invitato ad alzare lo sguardo: “Guarda in cielo e conta le stelle…”.
E’ invitato a cambiare sguardo: non più rivolto a sé, alle sue paure, ma al suo Dio, il Dio della promessa; e in lui rinnova la sua fede “credette in Dio”. Si mette nella giusta relazione con il Signore, orienta a Lui il suo sguardo e lascia che sia Dio a prendere in mano la sua vita.
Anche i primi cristiani, della comunità di Filippi, erano tentati di uno ‘sguardo basso’, lasciandosi trascinare da quelli che Paolo chiama “nemici della croce di Cristo”.  Si tratta di coloro che volevano ridurre il loro essere cristiani a pratiche esteriori, alla tradizione umana, con uno sguardo rivolto dunque alle cose della terra: se stessi centro del mondo.
Paolo, smascherando gli inganni di una religiosità così terrena e tesa solo a soddisfare i propri bisogni di sicurezza, esorta a levare in alto lo sguardo della fede, le attese del cuore: non la terra è la nostra patria, ma i cieli, Dio stesso. Chiama a uno sguardo che sa andare oltre: che si fissa su Gesù crocifisso e risorto, il Signore a cui tutto è orientato e che tutto trasfigurerà. Questo è l’orizzonte della vita cristiana: vale dunque la pena rimanere saldi nel Signore.
Nel Vangelo, sul monte i discepoli sono oppressi dal sonno, presi da grande timore e preoccupati per il fallimento di Gesù che aveva parlato loro della sua passione e morte. Ma ecco che Gesù li risveglia, apre i loro occhi, li aiuta a vedere oltre, a vedere in profondità, diventando capaci di riconoscere dentro questa sua e loro fragile umanità la presenza forte e luminosa di Dio. In Gesù si fa vedere la presenza di Dio nel suo volto, nel suo corpo, in tutta la sua persona trasfigurata. In Gesù sprigiona l’intensità e l’interiorità della sua vita, il suo vero essere: Dio. La trasfigurazione è il momento centrale di questa rivelazione. Il suo significato e messaggio è chiaro: l’uomo Gesù è veramente Dio. Lui è punto di arrivo: è il compimento della scrittura dell’antica alleanza (significata da Mosè ed Elia). Lui è punto di partenza: è ora l’unica Parola da accogliere; lui va ascoltato. Lui va guardato e seguito nel suo esodo che lo condurrà, certo alla croce, ma solo come strada e passaggio che porta alla risurrezione, alla vita nuova. Ma c’è di più: quanti lo ascolteranno e lo seguiranno, anche loro, potranno compiere questo ‘esodo’ proprio grazie all’esperienza della Presenza trasfigurante di Dio nella loro vita, perché, come per Gesù anche per noi, nel fondo del nostro essere c’è, nonostante ogni notte, uno spiraglio di luce destinato a manifestarsi.
La Parola di Dio vuole invitarci a ri-orientare il nostro sguardo. A tenerlo alto, rivolto alla meta del cammino umano che è la nostra piena realizzazione in Cristo; e questo passando con Lui e come Lui attraverso la croce, le notti, le fatiche per giungere a una vita luminosa e trasfigurata. Se il nostro sguardo resta fisso su di Lui allora si compie anche il nostro cammino e la nostra realizzazione, la Pasqua. Nella sua luce vedremo la luce. Affidiamoci con cuore semplice alla sua guida.
E’ tutta una questione di sguardo; l’uomo diventa ciò che guarda con gli occhi del cuore, diventa ciò che ama, diventa ciò che prega.
Infatti questo nostro cammino, se vogliamo affrontarlo “a sguardo alto”, deve necessariamente compiersi nella preghiera. “Salì sul monte a pregare. E mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto…”. Non un altro volto, ma un ‘volto altro’: il volto che rivela la presenza del Dio luce.
Solo nella preghiera anche noi possiamo diventare ‘altro’, cioè quello che veramente siamo: uomini e donne luminosi, perché capaci di realizzare in noi quell’essere figli di Dio che attende solo di manifestarsi in pienezza.
Solo nella preghiera può compiersi anche la nostra trasfigurazione.
In essa lo sguardo si purifica; diventiamo capaci non solo di vedere diversamente, ma anche di far emergere quella luce che il Padre ha posto in noi. Preghi e ti trasformi in Colui che preghi; entri in intimità con Dio, che ha un cuore di luce, e ne sei illuminato a tua volta.
Una preghiera che deve essere essenzialmente ascolto della Parola. Allora essa illumina e orienta le decisioni essenziali e dona forza per affrontare ogni notte, aprendo alla certezza di una luce più forte di ogni oscurità. 
Possa essere anche per noi, questo tempo di quaresima, tempo di preghiera più intensa e vera, così che possiamo fare esperienza di quella luce che, non solo brilla sul volto di Cristo, ma già è posta dentro di noi. Una preghiera che orienti sempre il nostro sguardo a Gesù, l’uomo Dio, che chiama tutti noi, ascoltandolo e seguendolo, a camminare con speranza, verso la definitiva trasfigurazione, nostra e di tutto il creato

sabato 13 febbraio 2016

Prima domenica di quaresima



Le tentazioni? Non si evitano, sono da «attraversare» - (di E.Ronchi)
 
Le tentazioni di Gesù sono le forze, le lusinghe che mettono ogni uomo davanti alle scelte di fondo della vita.
Ognuno tentato di ridurre i suoi sogni a pane, a denaro, di trasformare tutto, anche la terra e la bellezza, in cose da consumare.
Ognuno tentatore di Dio: fammi, dammi, risolvi i miei problemi, manda angeli. Buttarsi nel vuoto e aspettare un volo d'angeli, non è fede, ma la sua caricatura: cercare il Dio dei miracoli, il bancomat delle grazie, colui che agisce al posto mio invece che insieme con me, forza della mia forza, luce sul mio cammino.
Ognuno tentato dal piacere di comandare, decidere, arrivare più in alto. Io so la strada, dice lo Spirito cattivo: vénditi! Vendi la tua dignità e la tua libertà, baratta l'amore e la famiglia...
Le tre tentazioni tracciano le relazioni fondamentali di ogni uomo: ognuno tentato verso se stesso, pietre o pane; verso gli altri, potere o servizio; verso Dio, lui a mia disposizione. Le tentazioni non si evitano, si attraversano. Attraversare le tentazioni significa in realtà fare ordine nella propria fede.
La prima: che queste pietre diventino pane! Non di solo pane vive l'uomo... Il pane è buono ma più buona è la parola di Dio. Il pane è indispensabile, eppure contano di più altre cose: le creature, gli affetti, le relazioni, l'eterno in noi. L'uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Dalla sua parola sono venuti la luce, il cosmo e la sua bellezza, il respiro che ci fa vivere. Sei venuto tu, fratello mio, mio amico, amore mio: parola pronunciata da Dio per me. L'uomo vive di vangelo e di creature.
La seconda tentazione è una sfida aperta a Dio. «Buttati giù, chiedi a Dio un miracolo». Ciò che Pietro, con la sua irruenza, chiede al Maestro, una sera sul lago: fammi venire a te camminando sulle acque. Fa tre passi nel miracolo eppure comincia ad affondare. Tocca con mano il prodigio, lo vive, eppure nasce paura e comincia ad affondare. I miracoli non servono per credere: Gesù ha fatto fiorire di prodigi Galilea e Samaria, eppure i suoi lo vogliono buttare giù dal monte di Nazaret.
«Nel mondo ce ne sono fin troppi di miracoli» (M. De Certeau) eppure la fede è così poca, così a rischio.
Nella terza tentazione il diavolo rilancia: venditi alla mia logica, e avrai tutto. Il diavolo fa un mercato con l'uomo: io ti do, tu mi dai. Esattamente il contrario di Dio, che ama per primo, ama in perdita, ama senza contraccambio.
Vuoi avere le folle con te? Assicura pane, potere, successo e ti seguiranno. Ma Gesù non vuole "possedere" nessuno. Lui vuole essere amato da questi splendidi e meschini figli. Non ossequiato da schiavi obbedienti, ma amato da figli liberi, generosi e felici.
(Letture: Deuteronomio 26,4-10; Salmo 90; Romani 10,8-13; Luca 4,1-13).

martedì 9 febbraio 2016

Primi passi del cammino quaresimale...



QUARESIMA NON SIGNIFICA MORTIFICAZIONI
di Alberto Maggi

Con il mercoledì delle ceneri inizia la quaresima. Per comprendere il significato di questo periodo occorre esaminare la diversa liturgia pre e post-conciliare.
Prima della riforma liturgica, l’imposizione delle ceneri era accompagnata dalle parole “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, secondo la maledizione del Signore all’uomo peccatore contenuta nel Libro della Genesi (Gen 3,19). E con questo lugubre monito iniziava un periodo caratterizzato dalle penitenze, da rinunzie e sacrifici e dalle mortificazioni.
Oggi l’imposizione delle ceneri è accompagnata dall’invito evangelico “Convertiti e credi al vangelo”, secondo le prime parole pronunciate da Gesù nel Vangelo di Marco (Mc 1,15). Un invito al cambiamento di vita, orientando la propria esistenza al bene dell’altro e a dare adesione alla buona notizia di Gesù.
L’uomo non è polvere e non tornerà polvere, ma è figlio di Dio, e per questo ha una vita di una qualità tale che è eterna, cioè indistruttibile, e capace di superare la morte.
In queste due diverse impostazioni teologiche sta il significato della quaresima.
Mai Gesù nel suo insegnamento ha invitato a fare penitenza, a mortificarsi, e tanto meno a fare sacrifici. Anzi, ha detto il contrario: “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 12,7). La misericordia orienta l’uomo verso il bene del fratello. I sacrifici e le penitenze centrano l’uomo su se stesso, sulla propria perfezione spirituale e nulla può essere più pericoloso e letale di questo atteggiamento. Paolo di Tarso, che in quanto fanatico fariseo era un convinto assertore di queste pratiche, una volta conosciuto Gesù, arriverà a scrivere nella Lettera ai Colossesi: “Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o per feste, noviluni e sabati… Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché come se viveste ancora nel mondo, lasciarvi imporre precetti quali: Non prendere, non gustare, non toccare? Sono tutte cose destinate a scomparire con l’uso, prescrizioni e insegnamenti umani, che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (Col 2,16.20-23).
Paolo aveva compreso molto bene che queste pratiche dirigono l’uomo verso un’ impossibile perfezione spirituale, tanto lontana e irraggiungibile quanto grande è la propria ambizione. Per questo Gesù invita invece al dono di sé, che è immediato e concreto tanto quanto è grande la propria capacità di amare.
La quaresima non è orientata al venerdì santo, ma alla Pasqua di risurrezione. Per questo non è tempo di mortificazioni, ma di vivificazioni. Si tratta di scoprire forme inedite di perdono, di generosità e di servizio, che innalzano la qualità del proprio amore per metterlo in sintonia con quello del Vivente, e così sperimentare la Pasqua come pienezza della vita del Cristo e propria.
Per questo oggi c’è l’imposizione delle ceneri. Pratica che si rifà all’uso agricolo dei contadini che conservavano tutto l’inverno le ceneri del camino, per poi, verso la fine dell’inverno, spargerle sul terreno, come fattore vitalizzante per dare nuova energia alla terra.
Ed è questo il significato delle ceneri: l’accoglienza della buona notizia di Gesù (“Convertiti e credi al vangelo”), è l’elemento vitale che vivifica la nostra esistenza, fa scoprire forme nuove originali di amore, e fa fiorire tutte quelle capacità di dono che sono latenti e che attendevano solo il momento propizio per emergere. Creati a immagine di Dio (Gen 1,27), il Creatore ha posto in ogni uomo la sua stessa capacità d’amare. La Quaresima è il tempo propizio perché questo amore fiorisca in forme nuove, originali, creative.


Il digiuno che piace al Signore
Digiuna dal giudicare gli altri:
scopri Cristo che vive in loro.
Digiuna dal dire parole che feriscono:
riempiti di frasi che risanano.
Digiuna dall'essere scontento:
riempiti di gratitudine.
Digiuna dalle arrabbiature:
riempiti di pazienza.
Digiuna dal pessimismo:
riempiti di speranza cristiana.
Digiuna dalle preoccupazioni inutili:
riempiti di fiducia in Dio.
Digiuna dal lamentarti:
riempiti di stima per quella meraviglia che è la vita.
Digiuna dalle pressioni e insistenze:
riempiti di una preghiera incessante.
Digiuna dall'amarezza:
riempiti di perdono.
Digiuna dal dare importanza a te stesso:
riempiti di compassione per gli altri.
Digiuna dall'ansia per le tue cose:
compromettiti nella diffusione del Regno.
Digiuna dallo scoraggiamento:
riempiti di entusiasmo nella fede.
Digiuna da tutto ciò che ti separa da Gesù:
riempiti di tutto ciò che a Lui ti avvicina.
Spirito Santo, che hai condotto Gesù nel deserto,
dove Egli ha digiunato per quaranta giorni e quaranta notti,
per l'intercessione di Maria SS.,
Madre di Gesù e Madre mia,
aiutaci a digiunare così come tu vuoi.