venerdì 1 settembre 2017

Ventiduesima domenica del Tempo ordinario



Sulla scia del successo ecco che Pietro ci riprova; la prima volta – ricordate il vangelo di domenica scorsa? – aveva risposto bene a Gesù (“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”). Ora dunque non teme di prendere la parola, anzi “lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo”, dice il testo di oggi (continuazione del brano di domenica).
Ma stavolta Pietro non riceve elogi e riconoscimenti. Tutt’altro: se prima Gesù gli cambiò nome e vita, ora lo chiama Satana e lo allontana da sé “Và dietro a me Satana”. A dire il vero Pietro era mosso da tanto amore per Gesù: non voleva affatto vederlo soffrire e poi morire; pensando a Lui come Messia non accettava la sconfitta della croce, della morte. Gesù aveva infatti dato per la prima volta, con chiarezza, l’annuncio della sua passione: “cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto…”. Davanti a questa prospettiva Pietro interviene: “Questo non ti accadrà mai!”. Quasi a insegnargli cosa deve fare: si fa maestro del Maestro, con la pretesa di insegnare a Dio cosa è giusto, gli si pone davanti per indicargli la strada da seguire, ovviamente secondo i suoi calcoli umani. Diventa così ostacolo, scandalo, proprio perché “non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
Oggi Gesù viene a dire, a Pietro, ai discepoli, a noi che non poche volte abbiamo la stessa arroganza di Pietro, che non dobbiamo avere la pretesa di insegnare a Dio, e ci invita ad avere l’umiltà di imparare da Lui, mettendoci alla sua sequela, accettando di camminare dietro a Lui e di vivere come Lui.
Per due volte Gesù dice: “dietro a me”: a Pietro: “Và dietro a me”, e ai discepoli: “se qualcuno vuol venire dietro a me…”.
Dietro a Gesù è il posto del discepolo per imparare da lui a fare della vita un dono offerto e non una proprietà da difendere e trattenere solo per sé, perché “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà (donerà) la propria vita per causa mia la troverà”.
E’ questo il cambio di prospettiva richiesto; il passare da pensare “secondo gli uomini”, al pensare “secondo Dio”. Gli uomini pensano secondo una logica di potere, di dominio (e così immaginavano il Messia). Dio invece ha pensieri di amore, di servizio, di dono. E il discepolo è chiamato a farli suoi: “rinneghi se stesso”; non vuol dire disprezzo per la propria vita, bensì  la capacità di ri-orientarla secondo una logica nuova, secondo la logica di Dio. Si rinnega l’io umano e terreno che ci chiude in noi stessi, in una ricerca egoistica della nostra realizzazione, per aprirci a un io nuovo che ci apre alla novità di Dio, ai suoi pensieri, al suo modo si essere e di agire.
Arrivando così a sperimentare che in Dio il nostro io interiore si scopre esaltato, realizzato, addirittura divinizzato! E’ un  perdere per ritrovarsi, per guadagnare veramente se stessi. “Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà (fallirà) la propria vita?”.
E realizzare il proprio io, la propria vita si attua, secondo Gesù attraverso il “prenda la sua croce e mi segua”. Che sta a significare: il saper prendere, assumere, l’ amore come capacità di farsi dono e di servire; il vivere nella carità che si offre senza misura; l’accettare di non essere capiti, di subire incomprensione e disprezzo.
Come Gesù.
Perché solo vivendo come Gesù la vita arriva a trovare tutta la sua pienezza di realizzazione, proprio perché è vita donata per amore e non trattenuta per orgoglio e desiderio di potere.
Non per nulla al rinnegare e perdere si sovrappongono e sostituiscono altri verbi: trovare, salvare. A questo ci porta Gesù se sappiamo stargli dietro, se lo seguiamo con fiducia senza la pretesa di essere noi a stabilire ciò che è giusto che lui faccia ci conduce non a ‘una vita meno vita’ fatta solo di rinunce, bensì alla ‘vita-vita’, fatta di gioia e di crescente pienezza di senso e di scelte.
E in questo nuovo modo di essere sta il vero culto; quello che Paolo nella seconda lettura chiama “culto spirituale”: “offrire i vostri corpi (cioè tutta la nostra persona e vita) come sacrificio vivente”, come dono d’amore. Questo è il culto cristiano: “non conformatevi a questo mondo, ma lasciandoci trasformare rinnovando il nostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto”.
Il cristiano dunque, così rinnovato nella mente e nel cuore, è colui che è sedotto dall’Amore, sta dietro all’Amore, vive con questo fuoco dentro, come il profeta Geremia e trova in questo fuoco la forza anche per far fronte alle sue debolezze e crisi: “non penserò più a Lui… ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente”.
Noi cristiani, pur in mezzo a tante fatiche e difficoltà, dobbiamo tornare a sentire il Signore come passione, a lasciarci bruciare dentro dalla sua Parola e così seguirlo, giorno dopo giorno, compiendo scelte che hanno la misura dei pensieri di Dio e non dei nostri limitati calcoli umani. Solo così il Signore ci “renderà secondo le nostre azioni” e la nostra vita non sarà affatto persa, ma pienamente realizzata a immagine di Colui che è per sempre il Vivente.

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