sabato 13 aprile 2024

"Pace e paura" - Terza domenica di Pasqua

 

Pace a voi!”, ancora una volta! Una pace che si immerge dentro le paure e le chiusure di quel gruppo di uomini e donne, tanto simile a tutti noi. Pace e paura. Lui la pace, noi la paura. Paura perché Lui ci pare lontano, un fantasma, staccato dalla nostra vita piena di problemi e incertezze. Ma Lui torna, Lui c’è sempre, per dirci “Pace”, ma soprattutto per farci sperimentare che Lui è realmente qui con noi, che non c’è motivo di cedere alla paura e allo sconforto.

Il racconto ascoltato vuole aiutarci a imparare a riconoscere la Sua Presenza proprio per saper vincere la paura ed essere oggi i suoi testimoni come i primi apostoli (1 lettura); per saper soprattutto vivere secondo il suo vangelo come ci ha detto Giovanni (2 lettura): “Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti; chi osserva la sua parola in lui l’amore di Dio è veramente perfetto”.

E allora scopriamo come si manifesta la sua presenza.

Si tratta di segni umili, apparentemente scontati da sembrare inadeguati. Ma questa è la scelta di Dio, la strada che Lui percorre per stare accanto a tutti noi.

Il primo di questi segni sono le ferite; quelle ferite della croce che permangono nel corpo risorto. “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate…”. Siamo invitati a riconoscere che il Risorto è lo stesso che fu crocifisso e a riconoscere dunque nelle ferite che segnano il corpo di ogni fratello e sorella che accostiamo, le Sue ferite, la Sua presenza. Più ancora: invitati a “guardare e toccare”. Noi che oggi con troppa disinvoltura giriamo lo sguardo per non guardare chi soffre, chi fa fatica; per non voler vedere le piaghe e le ferite che segnano il corpo e lo spirito di tanti, siamo chiamati con forza a guardare e toccare. “Guardate e toccate…sono proprio io”. I poveri, i deboli non sono fantasmi di cui aver paura o da cui fuggire, sono il corpo ferito del Signore che chiede e attende di essere toccato per risorgere. Toccare: ciò prendersi cura; non solo limitarsi a vedere, ma muoverci a soccorrere imparando a riconoscere (e questo è decisamente sconvolgente) che proprio qui Lui, Dio, è presente, Lui vivente e risorto, perché ogni uomo e donna ritrovi speranza e coraggio.

Il secondo segno è la semplicità del quotidiano, delle relazioni. A noi sempre a caccia di qualcosa di diverso, di straordinario, Gesù ci ricorda che lui invece ama la semplicità delle cose di tutti i giorni. Dice il vangelo: “Poiché per la gioia non credevano ancora… disse: ‘Avete qui qualche cosa da mangiare?’ Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”. Una Presenza che continua a manifestarsi nelle semplici cose della vita di ogni giorno: un pesce, del pane e del vino, il mangiare insieme... Non andiamo a indagare chissà dove, non perdiamoci alla ricerca di enigmi incomprensibili. Impariamo piuttosto a riscoprire e a rivalorizzare la semplicità delle cose quotidiane e in particolare delle relazioni come luogo e segno della presenza di Colui che è il Dio della vita.  

Infine ecco il segno della Parola, le Scritture: “’Sono queste le parole che io vi dissi…’. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture”. Quelle Scritture che da sempre parlano di Lui: “Così sta scritto… bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me…”. Solo “aprendo la mente” ad essa si aprono anche gli occhi e il cuore e la fede si fa possibile. Un’espressione significativa “Aprì loro la mente” che sarebbe da tradurre “Guarì loro la mente”. Quanto abbiamo bisogno di guarire le nostre menti, malate di falsità, di inganno, di vanità e sciocchezze, per arrivare a comprendere, per arrivare finalmente a credere che quel Gesù crocifisso è il Gesù risorto. E che questo Gesù risorto non è un fantasma, ma l’uomo pienamente riuscito, l’uomo nuovo nel quale anche noi possiamo, dobbiamo, diventare nuove creature. Testimoni in questo nostro oggi della sua presenza di pace che vince e supera ogni nostra paura.

 

sabato 6 aprile 2024

"Pace a voi!" - Seconda domenica di Pasqua 'in albis'


“Pace a voi”. Così, sempre, il Risorto si presenta ai suoi amici. Sono le sue prime parole, il suo primo dono dopo essere risorto dai morti. “Pace a voi”.

Che cosa ne abbiamo fatto di questo dono? E’ la domanda che il nostro Vescovo ci pone nell’invito che ha rivolto a tutte le comunità a vivere questa settimana di ottava, che oggi si chiude, dedicando ampi spazi di preghiera e di adorazione eucaristica, per riscoprire lì, nel pane offerto e donato, Colui che è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo.

Così dice il nostro vescovo: “Il mondo attraversa, ancora una volta, un momento difficile. Non possiamo nasconderci che l’invito del Risorto – «pace a voi» – mentre continua ad alimentare la speranza e gli sforzi di riconciliazione compiuti da tanti «operatori di pace», risuona al tempo stesso nelle coscienze di tutti come un rimprovero. Che cosa ne abbiamo fatto della pace? Questo interrogativo vale per il mondo a tutti i livelli, ma anche per la Chiesa, nella quale dobbiamo purtroppo constatare, con amarezza e profondo senso di vergogna, che divisioni, invidie e gelosie non sono del tutto assenti. Per questo abbiamo tutti bisogno di tornare a Dio, di piegare le ginocchia del corpo e del cuore davanti a lui per rimetterlo al centro della vita, dei pensieri e delle azioni della Chiesa”.

E’ un interrogativo che ci tocca tutti come cristiani, come comunità. Davanti all’immagine eloquente di una comunità capace di vivere in profonda comunione, “un cuor solo e un’anima sola” come ci ricorda il testo degli Atti degli Apostoli, capace di condividere i propri beni con chi fa più fatica (“quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno”… più o meno come facciamo oggi!!), capaci così di “testimoniare con grande forza la risurrezione del Signore”, oggi siamo chiamati a rivedere il nostro essere cristiani, a ripensare lo stile delle nostre comunità, nella consapevolezza che divisioni, invidie, gelosie, egoismi non generano assolutamente la pace, anzi sono il segno che il dono della pace che il Risorto ci consegna non lo abbiamo ancora accolto.

Tuttavia Lui non si stanca di farsi presente tra noi nonostante le nostre chiusure, paure e fatiche. Torna, otto giorni dopo, torna sempre, per vincere la nostra incredulità e durezza di cuore. Torna per rinnovare il dono e offrirci Colui che della pace è la sorgente: lo Spirito. «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Quello Spirito che porta la pace attraverso il perdono, la misericordia che viene dal Padre e che siamo chiamati non solo ad accogliere ma anche a distribuire. Senza perdono non potrà mai fiorire la pace! Quel perdono che nasce dalle ferite del Cristo, e di ogni cristo: “mostrò loro le mani e il fianco”, “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco”. Da quelle ferite è venuto il dono dello Spirito che genera misericordia e pace.

Con la forza dello Spirito, e “con l’acqua e con il sangue”, esplicito riferimento di Giovanni nella seconda lettura al Battesimo, siamo stati “generati da Dio” per vincere il mondo con la nostra fede e testimoniare a tutti la vita nuova di figli nell’amore verso Dio e verso il prossimo.

Proprio attraverso il Battesimo, rinnovato nella veglia pasquale, siamo stati immersi nella vita della Trinità, nella comunione d’amore con il Padre, il Figlio e lo Spirito santo. Rinnovati dalla misericordia della Trinità santa, siamo chiamati a diffondere questo amore misericordioso toccato, sperimentato, come Tommaso, nel Cristo crocifisso e risorto, riconosciuto come “Mio Signore e mio Dio”.

“Pace a voi” allora non resterà solo un bel saluto ma si tradurrà in relazioni nuove che, cariche di amore misericordioso, porteranno a costruire in questa nostra tormentata umanità, comunità coraggiose nel vivere la logica nuova del vangelo, rifiutando ogni forma di violenza, verbale e fisica, per generare nella mitezza e nella giustizia un futuro di vera pace. “Beati – dunque - quelli che non hanno visto e hanno creduto” e con la loro fede vincono il mondo, seminatori, dentro le ferite di questa nostra umanità, di quella misericordia che tutto risana e apre a vita nuova, a nuove possibilità, a rinnovata speranza.